Cosa mette d’accordo Alberti, da Vinci e Kandinskij?

Qualche anno fa trovai in un mercato dell’usato una vecchia valigia di pelle, color marrone caldo, bellissima. Ho deciso di usarla per contenere i miei colori a olio. All’interno, oltre ai tanti tubetti più o meno strizzati, ci si trova anche un reggimano, (strumento fondamentale in alcuni momenti mentre si dipinge), i pennelli, il barattolo di solvente vegetale (non tossico né per me né per l’ambiente) e uno specchio.

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Cosa ci fa uno specchio nella valigia di un pittore? Non lo uso per controllare, mentre dipingo,  se il trucco è sbavato, no: lo uso per vedere i mie dipinti con occhi diversi.

Ogni tanto oltre ad allontanarmi per avere una visione d’insieme migliore, mi giro e tenendo in mano lo specchio cerco l’immagine dell’opera che sto realizzando et voilà, ciò che mi appare è qualcosa di nuovo rispetto a quello che sto vedendo nascere sulla tela.

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Perché?

Avete mai indossato il guanto destro nella mano sinistra o viceversa?
Impossibile, eppure i palmi delle due mani, la lunghezza delle dita combaciano perfettamente.

È un po’ quello che succede quando si guarda la propria opera pittorica allo specchio: si aprono nuovi mondi.
Le immagini ribaltate, invertite, rovesciate non sono più le stesse, appaiono diverse. 

Trai primi a parlarne fu niente meno che il grande Leonardo Da Vinci: nel suo “Trattato della pittura”, fra i vari consigli somministrati a chi voglia essere un buon pittore, leggiamo:
«Devi tenere uno specchio piano, e spesso riguardarvi dentro l’opera tua, la quale lí sarà 
veduta per lo contrario, e ti parrà di mano d’altro maestro, e giudicherai meglio gli errori tuoi che altrimenti».

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Anni prima dell’autore della Gioconda lo stesso Leon Battista Alberti nel trattato “De pictura”, dispensando consigli a chi voleva cimentarsi nella buona pittura, suggeriva di prendere a «buono giudice lo specchio», per correggere «ogni vizio della pittura».

Grazie all’utilizzo dello specchio infatti si evidenziano errori, guardando la propria opera riflessa si genera come un piccolo choc per cui ci sembra fatta da un’altra persona. Riconoscibile, ma non è più la stessa, identica ma, nello stesso tempo, completamente diversa.

Questo riguarda solo l’arte figurativa? Sembra di no. In “Punto, linea, superficie” (1926) di Kandinskij afferma che il fenomeno riguardi ogni forma in generale, parlando delle modificazioni del carattere di una curva «ostinata» provocate dalla sua inversione laterale.

Heinrich Wölfflin nel suo piccolo saggio, del 1928, “Destra e sinistra nell’arte” dà un ruolo importante al ribaltamento speculare nella storia dell’arte.
Sostiene che ribaltando l’immagine cambia tutto, dal punto di vista sintattico, semantico, simbolico. Non è una cosa semplice, anzi «ha radici profonde, radici che scavano nella più intima natura della nostra sensibilità», a partire proprio dal fatto che siamo dotati di una mano destra e una mano sinistra grazie alle quali riusciamo a orientarci nello spazio.

Quali sono queste radici profonde? Sembra dipendano dai nostri due emisferi cerebrali, ma anche dalla direzione in cui scriviamo e leggiamo.
Quali siano i motivi reali sta di fatto che occorre rovesciare l’immagine per cominciare a capirla.

Silla Guerrini


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